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ESSERE E NON ESSERE

(O del tentativo di fotografare Max mentre fotografa)

 

Renzo Martinelli

 

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C’è sempre un cuore di infinita distanza nei ritratti di Max Cardelli. 

Volti che precipitano, per fare vedere ciò che non è dato vedere. 

Attori alla fine di una pièce, alla fine di tutto, 

non più in rapporto col personaggio ma prima del momento 

in cui dovranno ancora e ancor porsi di fronte al vero. 

 

Come facciamo noi, sfogliando il libro e ponendoci 

davanti alla verità di quei volti alla fine, a sipario calato.

 

Angeli che cadono, dopo tutto quel che è loro accaduto.  

Il loro è solo un respiro, il resto è silenzio.

Un corpus di volti come una processione, un trionfo. 

 

Volti pronti a dare la loro voce, ancora una volta, 

per custodire quella vita che è la scena-teatro, per difenderla.

 

Sfogliando il libro, pare di sentirle tutte, quelle voci

 

Di qua c'è lui, Max,

 un cecchino in tempo di pace, un cacciatore dello sguardo.  

E di là un attore, muto, senza difese.

È un match tra due figure, isolate, anarchiche. 

Le loro emozioni anelano ad esser dette, spezzano il cuore, 

vogliono essere portate alla luce. 

Alla luce del linguaggio del volto e degli sguardi. 

Alla ricerca di una plasticità che diventa materia pittorica.

 

Ma non esiste un centro in questi ritratti, 

piuttosto una scena complessa di ritmi molteplici. 

 

Così, la fotografia diventa anatomia di una ribellione. 

Pelle prima che pellicola. Scossa. Fuori-fuoco di una rivoluzione.

 

 

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